Una lapide dantesca ricca di storia


a cura di Riccardo Trotta 
                                              Prima parte e seconda parte
Il comune di Firenze incaricò degli illustri dantisti (tra di essi Isidoro del Lungo  ), nel 1900, di individuare, nelle terzine dantesche, le citazioni dirette alla città per riferimenti topografici e individuare con precisione quei luoghi che fossero adatti per posizionare tali lapidi.
        Il progetto fu realizzato in soli sette anni.  
   Le lapidi che si possono vedere ancora oggi nel centro della città sono 34. 
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Ne ho scelta una per me particolarmente significativa per la storia  legata a quei versi, storia  che ebbe inizio proprio a Campi Bisenzio. 
Riguarda Manente degli Uberti, meglio noto come Farinata degli Uberti per via dei suoi capelli biondo platino (Firenze, 1212 circa – Firenze, 11 novembre 1264) un nobile e condottiero ghibellino, appartenente ad una tra le famiglie fiorentine più antiche e importanti, citato da Dante nel X canto dell'Inferno tra i fiorentini "ch'a ben far puoser li 'ngegni" e incontrato successivamente nel canto X tra gli eretici, in particolare tra gli epicurei che non credono in un'esistenza dopo la morte. Qui  in un dipinto di Andrea del Castagno ed in una statua al loggiato degli Uffizi



     Gli eretici sono condannati a giacere in sepolcri infuocati e Farinata si erge da uno di essi per parlare con Dante, avendolo sentito parlare toscano.
 La lapide si trova in prossimità dell’uscita dal primo cortile di Palazzo Vecchio




      Il mio professore di Lettere Italiane e Latine , Giancarlo Oli (autore insieme al prof. Devoto di un vocabolario della lingua italiana) quando al Liceo fece il commento a questo canto, ci disse che forse Dante aveva avuto come idea per la disposizione dei sepolcri quei sarcofagi romani che all’epoca poteva vedere situati tra il Battistero e la chiesa di Santa Reparata, dislocazione che cambiò senz’altro con la nuova cattedrale; di seguito il rendering al computer che mostra come erano disposte le tombe:



Al momento dell’incontro, dopo che Dante si è presentato ed ha detto a quale partito apparteneva, Farinata continua:
Poi disse: “ Fieramente furo avversi
A me, ed a’ miei primi, ed a mia parte:
Si che per due fiate gli dispersi.
S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogni parte,
Risposi lui, l’una e l’altra fiata,
Ma i vostri non appreser ben quell’arte.”
      Da questo si capisce che Dante si è dichiarato guelfo (sebbene il Foscolo nei “Sepolcri” lo chiami “il ghibellin fuggiasco” in realtà era un guelfo bianco, ma qui la storia si dilungherebbe troppo) mentre Farinata era un importante esponente ghibellino; questi appellativi hanno un’origine tedesca e sono poi così stati italianizzati. In realtà derivano da nomi tedeschi . 
      Infatti alla morte dell'imperatore Enrico V, nel 1125, la Germania si spaccò in due partiti, che si contesero la successione al trono. Da una parte erano gli Hohenstaufen, signori di Waibling (da cui il termine ghibellini) e di Svevia, ostili alle ingerenze papali, dall'altra i Welfen (guelfi), duchi di Baviera, favorevoli a un'intesa con Roma.
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        Ma per capire come tutto questo si ripercuote a Firenze bisogna ripartire da un episodio accaduto a Campi Bisenzio.
                                                                                                         Fine prima parte

                 Seconda parte


         All’epoca la Rocca Strozzi sul Bisenzio era il  Castrum Mazzinghorum,  non l’attuale  costruzione che fu ricostruita nello stesso posto nel 1376, ma la precedente distrutta dopo la vittoria dei ghibellini a Montapertie  Mazzingo dei Mazzinghi, per festeggiare  la sua nomina a cavaliere decise di invitare ad un banchetto  la gioventù delle più importanti famiglie fiorentine. Durante il banchetto però, un giullare per fare uno scherzo tolse  un tagliere pieno di carne ( i piatti per ciascun convitato non esistevano e la carne poggiata su un tagliere poteva servire anche per più persone che prendevano il cibo con le mani; la forchetta  a Firenze era sicuramente in uso nella famiglia Pucci, come testimonia il dipinto di Sandro Botticelli sulle nozze di Nastagio degli Onesti nel 1483) da  cui stava mangiando il signor Uberto degli Infangati, il quale si irritò.  Il signor Oderico dei Fifanti cercò di banalizzare l’accaduto ma la cosa non fu gradita da Uberto che l’offese.  

         Oderico reagì  a sua volta e gli tirò in faccia uno dei suddetti taglieri. 
        Nel tafferuglio che  ne nacque,  Buondelmonte, che accompagnava Uberto, finì col ferire al braccio Oderico con un coltello. 

         Qui sotto il dipinto di Sandro Botticelli dove si vedono in uso forchette a due denti.




        Buondelmonte (che aveva ferito oderico Fifanti), in base alle regole che a tempo venivano messe in campo per risolvere le liti, aveva  accettato di prendere in sposa una donna della famiglia degli Amidei (nipote del Fifanti). 
         Le offese sembravano quindi messe a tacere, ma   un caso avverso si intromise : Buondelmonte venne notato da donna Gualdrada moglie di Forese Donati, che affacciata al balcone del suo palazzo lo chiamò mentre questi passava sotto la sua casa.  Gualdrada ( che  doveva essere molto impegnata a d evitare zittellaggi)  gli mostrò una delle sue figlie, che evidentemente doveva avere delle attrattive ben maggiori della promessa sposa,  e  Buondelmonte perse la testa , decise di  lasciar perdere l’impegno preso e di  sposarsi con l’avvenente Donati . La cosa fu considerata una gravissima offesa
         Quindi gli offesi e le famiglie a loro legate cioè quelle che più tardi comporranno il partito ghibellino (Amidei, Uberti, Lamberti, Fifanti),  si riunirono nella chiesa  di Santa Maria sopra Porta, oggi sede della Biblioteca del Palagio di Parte Guelfa. ( e che nell’ottocento sarà la sede dei pompieri) per decidere come lavare l’onta. Fu Mosca dei Lamberti  a sostenere la necessità di misure più drastiche se si voleva davvero porre un termine alla vicenda con le celebri e proverbiali parole “cosa fatta capo ha”.


                                             Sotto la caserma dei pompieri fine ‘800

    

       Sulla base della decisione , la domenica di Pasqua, 25 marzo 1216. Buondelmonte cavalca “a palafreno”,  (cioè su un tipo di cavallo  dei più costosi ed allevati durante il Medioevo  per gli spostamenti dei nobili e  cavalieri  e per l'uso cerimoniale)con una giubba di tessuto pregiato e il mantello,  con  addirittura una ghirlanda in testa ed appare molto sicuro di sé. Ad  abbatterlo  si muove  per primo Schiatta degli Uberti, che prende la rincorsa e gli tira una mazza in testa. Il colpo mortale viene invece dato da Oderico dei Fifanti, che gli recide le vene del collo. Dopodiché lo lasciano morto sotto lo sguardo muto della statua del dio Marte. Secondo la leggenda questa statua equestre si sarebbe trovata in prossimità dell’attuale battistero, ma con l’avvento del cristianesimo fu spostata in prossimità del Pontevecchio dove venne definitivamente portata via dall’alluvione del 1333. E’ probabile però che si trattasse di una statua in onore dell’imperatore Diocleziano che aveva apportato alla città nuove opere strutturali. 
        Sotto, il funerale di Buondelmonte  del pittore Francesco Saverio Altamura 1860 (anche se qui la statua non è equestre)
       
A questo punto le famiglie si divisero in due schiere e  quella guidata da  Farinata aderì al partito Ghibellino, l’altra al partito guelfo. I ghibellini avevano il loro “castellare” nella zona dell’attuale piazza della Signoria: si trattava dell’insieme delle case torri, ognuna appartenente ad una famiglia della consorteria, che potevano essere messe in comunicazione l’una con l’altra tramite   ponti di legno che venivano fissati in appositi vani  delle torri (buche pontaie) ancor oggi visibili nelle antiche torri rimaste. Questo permetteva di spostarsi da una torre all’altra senza la necessità di scendere in strada
 Sotto esempio di ricostruzione delle torri ghibelline in piazza Signoria ed esempio di ponti fra torri.

  



Torniamo ai versi di Dante, in particolare delle parole di Farinata riportate nella lapide; uno scontro molto importante fra le due fazioni, capeggiate da un lato da Firenze Guelfa e dall’altro da Siena ghibellina, avvenne a Montaperti  (settembre 1260) che si concluse con la sconfitta dei guelfi. Successivamente i vincitori si riunirono ad Empoli   ed i ghibellini di  Pisa e di Siena  avrebbero voluto radere al suolo completamente  la città di Firenze. Fu allora che Farinata Farinata dimostrò nobilmente il suo grande amor di patria, insorgendo a viso aperto contro la proposta dei deputati e salvò la città dalla distruzione.
Morì qualche anno dopo nel 1264 e fu sepolto nella allora  Cattedrale di Santa Reparata,  ma dopo morti gli Uberti dovettero subire un'ulteriore vendetta da parte della fazione rivale dei guelfi: infatti nel 1283, 19 anni dopo la sua morte, i corpi di Farinata e sua moglie Adaleta subirono a Firenze un processo pubblico per l'accusa (postuma) di eresia. Per l'occasione i loro resti mortali vennero riesumati per la celebrazione del processo, conclusosi poi con la condanna, da parte dell'inquisitore Salomone da Lucca. L'accusa mossa alla fazione ghibellina di Firenze, per la quale vennero considerati eretici Farinata e sua moglie, in realtà riguardava la contestazione della supremazia religiosa della Chiesa.
Ma la fazione cui Farinata apparteneva ne contestava solamente l'ingerenza politica. La situazione venne probabilmente aumentata dalla propaganda della fazione guelfa di Firenze, pronta a sfruttare a proprio vantaggio l'accusa d'eresia.  Le loro salme furono quindi disperse, forse gettate in Arno
Stemma di Firenze, guelfo giglio rosso su fondo bianco, ghibellino giglio bianco su fondo rosso