LA STORIA di JOHN E EDITH e LA FUGA DEI PRIGIONIERI DI GUERRA

                                                                                   a cura di Julian Frullani 



Edith Steiner nacque da famiglia ebraica nella regione centrale ungherese di Székesfehérvar, o Fehérvar (Castello Bianco). Edith e sua madre sopravvissero agli orrori di Auschwitz dove persero trentanove membri della famiglia, inclusi il padre e il fratello. Con l’avanzata degli alleati, i prigionieri ebrei venivano fatti marciare sempre più lontano dal fronte. Deboli per mancanza di cibo e vulnerabili alle malattie, madre e figlia affrontarono la scostante minaccia dell’esecuzione sommaria. Le loro probabilità di sopravvivere fino al termine della guerra erano scarse.

Negli ultimi mesi, in marcia forzata da Auschwitz all’altrettanto famigerato campo di Bergen-Belsen, Edith vide il suo futuro marito, John, per la prima volta quando la propria colonna di ebrei ungheresi fu salvata da soldati britannici che tesero un’imboscata alle guardie naziste.

John “Jock” MacKay nacque a Glasgow. Entrò nelle fila dell’esercito e rimase, per scelta, un sottufficiale durante l’intera guerra. Dopo avere trascorso il suo primo anno a guardia delle banchine di Londra, si offrì volontario per l’addestramento nel settembre 1940.

Membro del Long Range Desert Groupe, prestò servizio presso Tobruk.

Nel 1942, MacKay ed un compagno furono catturati durante un servizio di comunicazione messaggi e furono trasferiti al campo di internamento n.70 a Fermo nelle Marche.

Con la stessa ingegnosità dei prigionieri di guerra della “Grande Fuga” da Stalag Luft III, scavarono una galleria sotto il loro alloggio accanto al muro perimetrale e nascosero la terra nei gambali dei pantaloni, rilasciandola di nascosto mentre passeggiavano intorno al campo. Per fuggire, però, non usarono il tunnel ma impiegarono una tecnica di fuga ugualmente azzardata.

Una decina di mesi dopo il loro arrivo al campo, che era in parte sotto il controllo dei nazisti, un giorno camminarono fino al perimetro indossando vecchie uniformi, recuperate da pezzi di quelle fasciste che erano state fornite ai prigionieri per mantenersi caldi durante l’inverno. Fortunatamente per loro, era domenica e si trovarono in un ufficio vuoto: saltarono dalla finestra e corsero verso le colline.

Seguì un’odissea di nove mesi in cui vagarono per gli appennini schivando con astuzia le numerose pattuglie nemiche, aiutati da coraggiose famiglie locali che rischiarono la vita per dare loro cibo e riparo. Arrivarono alla frazione appenninica di Scarafano negli Abruzzi, dove furono accolti da un contadino.

I due soldati prestarono il loro aiuto nella fattoria. Consapevoli del grande pericolo che la loro presenza rappresentava per la famiglia, si trasferirono in seguito nella vicina foresta dove scavarono una grotta affiorando solo per procurarsi il cibo durante l’oscurità.

Storia simile fu quella dell’evasione dal Castello di Vincigliata, trasformato in prigione, che ospitò circa venticinque soldati di vari gradi ed alti ufficiali britannici. Ci furono diversi tentativi di fuga: sei soldati uscirono da un tunnel, ma alcuni furono catturati poco dopo. Solo uno riuscì a raggiungere la Gran Bretagna.

Dopo l’armistizio nel settembre del ‘43, undici generali, tra cui tre “generalissimi” VIP e quindici tra alti ufficiali e soldati ancora detenuti, uscirono dalla porta principale quando le guardie abbandonarono in fretta il castello. Arrivarono a Camaldoli e da lì si inoltrarono in Romagna.

Nel suo libro “Pebbles from my Skull” (Ciottoli dal mio cranio), un altro evaso da un campo nazista, lo scozzese Stuart Hood, narra le sue audaci ed astute imprese di fuga dal nord al sud dell’Italia. Nel suo libro leggiamo notizie accurate del periodo trascorso su Monte Morello e sulla Calvana con Lanciotto Ballerini.

Tornando alla fuga di Mackay e del suo compagno, nella primavera del 1944 avevano scavato un’altra grotta e per la prima volta sentirono sopra di loro il ruggito degli Spitfires della RAF.

Dopo sei mesi vissuti allo stato brado lasciarono Scarafano; incontrarono altri soldati britannici in fuga e raggiunsero Napoli dove il fratello di MacKay prestava servizio come maggiore. Tre giorni dopo erano su una nave diretta a Glasgow. MacKay prestò quindi servizio con il Black Watch prima di essere nuovamente assegnato al servizio attivo all’estero, questa volta in Germania.

La primavera del 1945 lo vide stazionare presso la base dell’esercito britannico a Bad Lippspringe, dove il ventritreenne MacKay vide di nuovo la ventenne Edith Steiner ad un ballo in cui si celebrava la liberazione. Poco dopo le chiese di sposarlo.

Edith non aveva né passaporto né nazionalità. Il comandante di MacKay chiese l’autorizzazione per il matrimonio a Bernard Montgomery stesso. Si sposarono lì in Germania nella chiesa protestante.

In seguito tornarono in Gran Bretagna; oltre a due figli, la coppia ha avuto sette nipoti e cinque pronipoti.

Parlando di sua madre, Sharon dice: “Mia madre era una persona estremamente riservata. Molto molto gentile e tranquilla. Non ha mai parlato del tempo trascorso ad Auschwitz”. Edith muore nel 2017; John muore nel 2019, novantottenne.